Come si disfa la democrazia?

Opera di grande successo soprattutto negli anni Ottanta e per questo tradotta in varie lingue, “The Nazi Seizure of Power” (Come si diventa nazisti, Torino, Einaudi, 2005) di William Sheridan Allen rappresenta ancora oggi un contributo particolarmente valido per comprendere le epoche di crisi delle istituzioni democratiche. Pubblicato per la prima volta nel 1964, il libro di Allen descrive le vicende pubbliche della cittadina di Northeim, oggi locata in Bassa Sassonia, nel periodo compreso fra i primi anni della Repubblica di Weimar e la dittatura di Adolf Hitler.

Con una scelta che fece molto discutere all’epoca, Allen decide di studiare le ragioni dell’arrivo al potere del nazismo unicamente attraverso le lenti di una comunità di 80.000 abitanti, non necessariamente rappresentativa della Germania dell’epoca ma capace di racchiudere molti degli elementi socio-politici che resero possibile il successo del Partito Nazionalsocialista. Il lavoro si basa su un ampio numero di interviste a testimoni diretti (i cui nomi furono tenuti segreti fino alla seconda edizione del 1984, quando una inchiesta del settimanale “Der Spiegel” ne rivelò la maggior parte) e su un’analisi capillare delle pubblicazioni, leggi, regolamenti, comunicati delle principali istituzioni politiche, economiche e culturali cittadine.

Fra i contributi fondamentali vi è certamente quello di aver arricchito le possibilità di analisi del fenomeno nazista, studiandone lo sviluppo a partire dall’esperienza di una comunità locale. In questo modo Allen mostra come il nazismo sia stato anche e soprattutto un esempio di politica “bottom up”, basata su una strategia di campagna permanente sui territori e concretizzatasi nella formazione di strutture politiche locali delle quali Adolf Hitler si beneficiò ampiamente una volta diventato Cancelliere nel gennaio del 1933. È affascinante osservare le piccole vittorie e sconfitte cittadine del movimento nazista a partire dalle percezioni dei propri cittadini, commercianti, politici, lavoratori, funzionari pubblici e, al contempo, le strategie comunicative e organizzative di un partito che disprezzava profondamente le istituzioni rappresentative della democrazia liberale, ma che allo stesso tempo se ne servì in modo spregiudicato.

Il punto di partenza è l’interpretazione del successo nazista come il frutto dei sentimenti della classe media cittadina rispetto alle possibili conseguenze della depressione economica e del declino della Germania post-versalliana. L’autore documenta con un ampio volume di dati economici, per esempio sulla disoccupazione, il risparmio privato, i salari e i piccoli commerci, come la depressione seguita alla crisi economica del 1929 ebbe un impatto particolarmente negativo sulle classi più basse, in gran parte elettori della SPD e del Partito Comunista. Le classi medie, invece, ne furono toccate solo marginalmente. Eppure, è dalla percezione del possibile rischio di impoverimento che derivò buona parte dell’appoggio iniziale alla causa nazista. Attraverso la descrizione delle attività delle numerose associazioni cittadine, Allen ricava l’immagine di una classe media che mantenne fondamentalmente intatta la propria posizione anche durante la depressione, ma che, soprattutto verso la fine degli anni Venti, vide nel nazismo l’argine contro il rischio di povertà generalizzata dal quale sarebbe derivato un rafforzamento definitivo e irreparabile dei partiti marxisti. In questo quadro di percezioni distorte e decisioni errate, l’autore non risparmia il principale partito dell’epoca, la SPD, rappresentante dell’elettorato lavoratore e unica difensora della fedeltà repubblicana. Il maggiore errore che l’autore imputa alla socialdemocrazia di Northeim è l’incapacità di darsi un profilo politico riconoscibile, circostanza che la mantenne sempre in mezzo al guado. Da un lato la necessità di rappresentare gli ideali marxisti, fattore che le alienò ogni possibilità di accordo con i partiti centristi; dall’altro, la possibilità di incarnare una forza politica affidabile e di sistema, elemento che le impedì la formulazione di proposte economiche ambiziose e la conseguente impossibilità di capitalizzare il malcontento dovuto alla depressione. Non vale la pena esagerare nelle similitudini con la crisi degli attuali partiti socialdemocratici, ma il senso di impotenza espresso dalle storie di alcuni militanti dell’epoca rende bene l’idea. Incapaci di proporre soluzioni innovative e coraggiose, i socialdemocratici di Northeim si rifugiarono progressivamente in una sterile difesa dello status quo e dei valori repubblicani. Questo gli impedì di presentarsi come alternativa alla crisi e all’umiliazione internazionale, finendo così in una spirale di erosione del consenso, tanto a vantaggio delle componenti più moderate come di un Partito Comunista che, da rivale elettorale, non esitava in determinati frangenti a collaborare con il nascente partito nazista in alcune iniziative di impatto locale.

Di questa situazione approfittò un partito che fin dagli esordi negli anni Venti si presentò ai cittadini di Northeim come “post-ideologico”, caratterizzato da una scarsa elaborazione politica e capace di un discorso flessibile e modellabile a seconda degli obiettivi da raggiungere e del tipo di pubblico. Un partito “catch all”, in grado di sottrarre voti (anche se mai in quantità rilevante secondo Allen) ai partiti di sinistra ma soprattutto di interpretare il bisogno di sicurezza della classe media.

Allen analizza in profondità le attività cittadine del partito dalla nascita fino alla conquista del potere. Un partito particolarmente abile nella elaborazione degli slogan e dei simboli politici, ma anche nell’utilizzo di quella che oggi si è soliti chiamare “post-verità’”. In una realtà sociale radicalizzata, distante dalle istituzioni rappresentative e timorosa di nuovi tracolli economici, i nazisti di Northeim compresero fin troppo bene che “ciò che le persone credono, è più importante di ciò che è” (185). Di fronte ai tentativi della SPD e della propria stampa di dimostrare l’inconsistenza e fallacia delle proposte naziste, anche attraverso reportage che ricordano vagamente le moderne tecniche di “fact-checking”, i nazisti poterono giovarsi di un clima di sfiducia e sospetto nel quale argomentare diventava spesso occasione per essere ridicolizzati pubblicamente. Da questo punto di vista l’autore ci consegna pagine di grande rilevanza riguardo alle conseguenze di un dibattito pubblico “radicalizzato”. Allen rende conto di tale processo analizzando l’utilizzo a fini diffamatori della stampa, cattiva abitudine alla quale ricorrono soprattutto i nazisti, ma che in alcuni casi viene utilizzata anche dagli avversari, e che ha come unico risultato tangibile quello di “distruggere il fondamento di fiducia e rispetto senza le quali la democrazia non può avere successo” e di diffondere un sentimento di “ripugnanza” verso il processo democratico” (p. 90).

A livello generale resta l’impressione che l’autore non riesca a rispondere fino in fondo a una domanda di partenza particolarmente ambiziosa: “Come è stato possibile che una democrazia avanzata potesse cadere nella spirale di una dittatura nichilistica”? La limitatezza delle fonti (molti documenti andarono perduti con la caduta del regime nazista) e le intrinseche difficoltà di una metodologia in buona parte basata su interviste e percezioni personali spiegano in parte la difficoltà a trovare una risposta soddisfacente. Non risulta facile comprendere del tutto nel corso della lettura come mai un gruppo di politici alquanto rozzi dal punto di vista ideologico e fondamentalmente violenti nei propri metodi di diffusione del consenso possano essere arrivati a rappresentare i 3/5 dell’elettorato di una, relativamente alla epoca, tranquilla città di provincia. Allen cerca di risolvere la questione proponendo l’ipotesi secondo cui la maggior parte delle persone coinvolte non avesse un’idea chiara delle reali intenzioni di Hitler e del movimento nazista. Per esempio, l’antisemitismo rimane molto sullo sfondo nell’opera di Allen e in nessun momento pare aver rivestito una reale importanza nella vicenda locale di Northeim. Allo stesso tempo abbondano le testimonianze di persone che abbracciarono il nazismo per le ragioni più disparate fra le quali il puro calcolo, la paura, la scarsa conoscenza degli eventi, la percezione di un futuro ostile, o, come nel caso dei più giovani “per partecipare insieme ad altri ragazzi ad attività eccitanti…per stare bene e sentirsi importanti” (p. 76-7). Tali elementi parrebbero ritrovabili in numerose esperienze simili. Quello però che rimane difficile da spiegare è quel senso di ignavia, “moral numbness” nelle parole dell’autore, che fu alla base dell’appoggio maggioritario al progetto nazista anche di fronte alle sue manifestazioni più criminali e che rappresenta probabilmente la risorsa più inquietante, ma anche più potente, a disposizione dei regimi totalitari.

Un’ opera dunque più che mai significativa, a patto però che se ne conoscano i limiti. È bene per esempio non cadere nel facile equivoco di considerarla una specie di manuale su come evitare la vittoria dei movimenti anti-democratici. In questo senso forse andava la decisione dell’editore italiano di tradurne il titolo in “Come si diventa nazisti”. Molte delle conclusioni di Allen sono potenzialmente applicabili ad altri contesti, ma proprio per questo anche relativamente flessibili, quando non generiche. Invece di cercare antidoti o soluzioni “chiavi in mano” al problema del disincanto e del desiderio di soluzioni non democratiche, è più utile leggere l’opera come un contributo alla riflessione, faticosa ma necessaria, su come difendere le istituzioni rappresentative e allo stesso tempo riformarle per renderle più efficaci di fronte ai mutamenti sociali. Nella speranza che questo sia sufficiente ad evitare la sempre possibile ascesa di movimenti che se ne servono per eliminarle.

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