La maggiorparte delle analisi in merito continuano a confermare un dato interessante: nonostante un sistema politico meno stabile rispetto al passato, l’elettorato spagnolo continua a preferire un sistema multipartitico, e non pare manifestare grande nostalgia per l’epoca del bipartitismo. Tale condizione, inedita per la politica democratica spagnola e consolidatasi a partire dalle elezioni del dicembre 2015, rappresenta certamente una opportunitá per il dibattito democratico ma allo stesso tempo aumenta le difficoltá nella formazione dei governi. Nessuno come i socialisti spagnoli conosce il significato di tale problematica.
Nell’ottobre scorso, l’allora segretario del partito Pedro Sanchez decise di mantenere una linea di netta contrarietá ad una astensione del gruppo socialista en Las Cortes che potesse permettere la formazione del governo del PP. Tale posizione creó le condizioni per un conflitto con il Comite Federal del partito, composto dai leaders delle diverse federazioni regionali, e la successiva sfiducia dello stesso segretario. Per non partecipare ad un voto parlamentare particolarmente divisivo per i socialisti, Sanchez decise di dimettersi da parlamentare, e di lanciare la sfida alla maggioranza dei dirigenti del PSOE in vista del futuro congresso. Alla fine, il gruppo socialista garantí la propria astensione a Mariano Rajoy, nonostante la rottura della disciplina di partito da parte di una quindicina di parlamentari, e si insedió una Commissione per guidare il partito verso il difficile Congresso della settimana scorsa. Come dimostrano i risultati, il dibattito era tutt’altro che chiuso. Sette mesi dopo, Sanchez vince con piú del 50% dei voti dei circa 150000 iscritti accorsi alle urne e riconquista la leadership. A nulla quindi é valso il tentativo di Susana Diaz, presidenta dell’ Andalusia, sostenuta apertamente dalla quasi totalitá dei leaders regionali oltre che dalla maggioranza delle figure storiche del partito, da Felipe Gonzalez a Rodriguez Zapatero.
All’indomani del congresso, dunque, la questione che preoccupa maggiormente i socialisti spagnoli riguarda la strategia da seguire in un nuovo e inedito scenario multipartitico. L’asprissimo conflitto dell’ottobre scorso fu la rappresentazione scenica piú efficace dei dilemmi interni. Da un lato la necessitá di attuare come attore responsabile del sistema politico, permettendo la formazione di un governo da parte del PP, che aveva comunque vinto le elezioni. La pressione sociale e mediatica é sempre stata forte da questo punto di vista. Dall’altro lato la necessitá di mantenere una coerenza con la propria storia di soggetto alternativo alla destra, e la conseguente tentazione di guardare alla propria sinistra. Il tentativo di formare un governo, o perlomeno di instaurare un dialogo, con la sinistra antagonista di Podemos fu l’elemento principale che minó la relazione fra Sanchez e il Comitato Federale che ne forzó poi le dimissioni da Segretario. Nelle convulse giornate successive, Sanchez annunció che si sarebbe ripresentato alle primarie fra gli iscritti promettendo di “riportare il PSOE nella storia della sinistra” e parlando apertamente di un accordo di governo con Podemos e le varie sigle regionali ad esso legate.
Nonostante nelle ultime settimane di campagna Sanchez abbia mostrato maggiore prudenza rispetto alla possibilitá di accordi post-elettorali a sinistra, gli iscritti del PSOE hanno manifestato chiaramente con il voto di domenica scorsa la netta contrarietá ad ogni futuro intendimento di governo con i Popolari, aprendo cosí uno scenario di possibile dialogo “rosso-viola” fra socialisti e Podemos. Leaders come Pablo Iglesias e Irene Montero hanno manifestato apertamente la propria soddisfazione, soprattutto per la sconfitta subita dall’elite del partito socialista. Tuttavia, la strada di un possibile accordo fra Podemos e Socialisti continua ad essere ricca di insidie.
La formazione di Iglesias non ha dato segnali in questi ultimi mesi di aver moderato le proprie richieste per favorire l’avvio di un dialogo. Alcune delle proposte di maggior impatto mediatico, per esempio la convocazione di un referendum sull’indipendenza catalana o lo sforamento dai parametri di riduzione del deficit della Commissione Europea, continuano ad essere materiale incadescente per la leadership e per l’ elettorato socialista. Se da un lato é difficile negare che esista una maggioranza di iscritti al partito favorevole alla ricerca di un compromesso a sinistra, Sanchez non potrá comunque trascurare che ampi settori della militanza (il 40% che ha votato Diaz per esempio) non sono disposti a fare concessioni di ampio respiro a Podemos.
Sará quindi necessario mediare. Recuperare innanzitutto il dialogo all’interno di un partito ancora caratterizzato da profonde divisioni ed essere in grado di recuperare il terreno perduto tanto al centro quanto a sinistra. Un compito difficile di questi tempi, e quindi piuttosto simile ai dilemmi politici e strategici vissuti da molti partiti del centro-sinistra europeo. Di fronte a tali similitudini, appare ancora piú necessaria una collaborazione transnazionale fra partiti progressisti europei, a partire dai territori e dalle questioni che sono oggetto di maggiore contesa politica ed elettorale.
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