Elezioni in Spagna: tutto cambia o tutto rimane come prima?

Solo un anno fa, le elezioni di domenica prossima venivano descritte come l’evento che avrebbe potuto cambiare in maniera radicale la democrazia spagnola. La sorprendente crescita di Podemos, partito nato nelle piazze indignate di Madrid e Barcelona, sembrava presagire non solo la fine del bipartitismo che aveva governato sin dalla transizione democratica, ma una vera e propria rivoluzione politica per il Paese. Sulla scia del successo di Syriza in Grecia, Pablo Iglesias puntava ad un risultato che gli permettesse di andare al governo e poter così sfidare l’austerità della Troika. Oggi, a pochi giorni dal voto, il quadro appare decisamente più incerto e chi si augurava cambi radicali potrebbe rimanere deluso.

 

Ma torniamo ad un anno fa. L’effetto combinato della crisi economica, dei tagli alla spesa pubblica e di una serie di scandali di corruzione determinarono una forte delegittimazione del Partido Popular (PP) e del Partido Socialista Obrero Español (PSOE) che si alternano al governo dal 1982. Nel momento più grave della crisi economica, con circa un quarto della popolazione attiva senza lavoro, la rabbia e il malcontento dell’elettorato ricaddero sui due partiti maggiori, ritenuti, a torto o ragione, i responsabili della disfatta spagnola.

 

Il partito di Iglesias baso’ il proprio discorso politico su tale responsabilità condivisa oltre che sulla necessità di una svolta che spazzasse via l’intera classe dirigente. Nei comizi che a partire da gennaio scorso riempirono le piazze spagnole, l’oggetto delle critiche non erano solo la destra liberista di Rajoy o la sinistra “traditrice” di Zapatero, quanto la casta. Con questo concetto di grillina ispirazione, Podemos proponeva una ristrutturazione del discorso politico intorno a nuove categorie. La tradizionale frattura destra-sinistra diventava fuorviante, era la politica in toto ad aver tradito il popolo. I casi di corruzione concedevano ampi margini per il discorso anti-politico. I sondaggi davano PP e PSOE in picchiata, mentre Podemos, in un solo anno di vita, era passato dal 8% ottenuto alle elezioni europee a un quasi 28% nelle intenzioni di voto.

 

Tuttavia, gli ultimi sondaggi, presentano un quadro diverso da quello che sembrava si stesse configurando. Come già emerso dai risultati delle elezioni regionali del maggio scorso, i due partiti storici, seppur in crisi, restano quelli con piú elettori, mentre Podemos, dopo aver toccato i vertici della propria popolarità con la conquista di municipi come Madrid, Barcelona e Valencia si attesterebbe ora su un 14-15% dell’elettorato. Come se non bastasse, l’acuirsi delle tensioni fra lo stato centrale e l’indipendentismo regionale ha capultato sulla scena nazionale il giovane e ambizioso Albert Rivera. Le ultime elezioni in Catalunya hanno consacrato Rivera come rappresentante di quell’ampia percentuale di catalani contrari all’indipendenza e favorevoli all’unità con la Spagna. La popolarità acquisita ha permesso a Rivera di consolidarsi sulla scena nazionale con il movimento politico Ciudadanos (Cittadini) che promette di salvare la Spagna dalla demagogia della sinistra e dall’arretratezza della destra, proponendo anch’egli una forma di anti-politica, sebbene marcatamente centrista e ispirata alla figura di Adolfo Suarez. Nell’arco di pochi mesi, questa nuova formazione potrebbe addirittura insidiare il secondo posto del PSOE, diventando una sorta di ago della bilancia.

 

Alcuni fattori possono contribuire a spiegare questi sviluppi. In primo luogo, al ridimensionamento del progetto di Podemos sembrano aver concorso due ragioni fondamentali. Da una parte, le vicende greche del luglio scorso che hanno limitato considerabilmente le opzioni dei movimenti anti-austerità. Dall’altra, e forse in modo ancora più determinante, l’ irrompere di Ciudadanos. Il partito di Rivera, proponendo un messaggio simile a quello di Podemos, “non siamo né di destra, né di sinistra”, ma facendolo sulla base di un impianto valoriale tendenzialmente piu’ affine alla destra, ha depotenziato il discorso di Iglesias. Quel popolo cui faceva riferimento quest’ultimo, una sorta di entità omogenea e indifferenziata opposta alla casta che Podemos pensava di poter rappresentare in modo esclusivo, era composto in realtà da anime diverse e aspirazioni politiche molteplici. In secondo luogo, è possibile che il PP possa limitare la propria emorrogia di voti grazie alla ripresa economica, che in Spagna è stata particolarmente vistosa negli ultimi due anni. Infine, anche il PSOE, che pur continua a dare l’impressione di essere il partito in maggiore difficoltà, si è beneficiato di un cambio alla guida che ne ha in parte rinnovato l’immagine. Il tradizionale bipartitismo, dunque, non parrebbe essere stato spazzato via, al suo posto potrebbe configurarsi una sorta di bipolarismo. A destra il PP e Ciudadanos, a sinistra il PSOE e Podemos.

 

Sebbene fin qui si possa solo parlare di sondaggi e i voti scrutinati potrebbero rivelare sorprese, alcune riflessioni sembrano possibili. Il tempo in politica ha un suo peso, nell’arco di un anno molte cose possono cambiare. Vale la pena valutare con una certa diffidenza scenari costruiti su sondaggi a distanza siderale dalle elezioni. Allo stesso modo, le ipotesi di cambiamento radicale, nel contesto di democrazie mature e altamente strutturate, sembrano rappresentare più l’eccezione che la regola. Il passaggio in Spagna dal bipartitismo al bipolarismo e la possibilità di governi di coalizione aprono scenari decisamente innovativi, ma, tuttavia, nel solco di una struttura che pare mantenersi nei suoi tratti salienti. Infine, i tentativi di ricostruire la politica in termini anti-politici o post-politici, di archiviare la distinzione fra destra e sinistra, non sembrano, al momento, dare risultati univoci. Come ben dimostra il caso spagnolo, se la politica deve essere rinnovata, non è soltanto una la strada possibile.

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