Elezioni: i partiti (e i movimenti) sono nudi!

Stiamo assistendo imperturbabili ad una presa in giro colossale. Le voci che in questa campagna elettorale ci giungono da ogni parte, destra o sinistra che sia, ci raccontano di progetti mirabolanti, di grandi investimenti, di cose che cambieranno, di problemi atavici finalmente risolti. Bene: si tratta di menzogne. Peggio: si tratta di menzogne proferite da gente che lo fa sapendo di mentire.

Non c’è uno fra i politici, gli addetti ai lavori o gli studiosi, che non sappia perfettamente che da queste elezioni non uscirà una maggioranza capace di governare. In realtà, non serve essere grandi esperti di politica per avvedersene, basterebbe ritornare, con un minimo di buona volontà, sugli eventi degli ultimi vent’anni, darsi il tempo di collegare i puntini come nei giochi da settimana enigmistica. Il sistema politico italiano, così come congegnato dalla costituzione più bella del mondo, non funziona. Anche quando le elezioni hanno identificato un chiaro vincitore, come quando vinse Prodi nel 1996 o Berlusconi nel 2001 e nel 2008, le maggioranze parlamentarie che sostenevano i loro governi erano eterogenee e fragili, pronte a sgretolarsi di fronte al primo sciopero generale, alla prima riforma ambiziosa che andasse a toccare qualche privilegio, al primo tornate dove la messa in scacco dell’esecutivo potesse lucrare qualche consenso ad una delle forze che lo sostenevano. Vi immaginate ora che vi sono tre blocchi intorno al 30%?

Non a caso, tutti coloro che si sono trovati a dover governare, giunti nella stanza dei bottoni, resisi conto dell’impossibilità di attuare il proprio programma, hanno provato a riformare il sistema proponendo una modifica della Costituzione. Vi ricordate la Bicamerale presieduta da D’Alema? Vi ricordate della Riforma Costituzionale del centro-destra, bocciata dal referendum del 2006? Vi ricordate della Riforma Costituzionale del centro-sinistra, bocciata dal referendum del 4 dicembre del 2016?

La cosa curiosa, o meglio, la farsa inaccettabile è che le forze politiche, una volta che escono dalla stanza dei bottoni, una volta che hanno fallito nel loro turno al governo, vengono colpite da amnesia. “Il problema non è il sistema da riformare ma l’avversario politico x o y che non ha saputo governare. Quando ritoccherà a noi vedrete che meraviglia”. Ma scusate, non erano quelle stesse forze, soltanto l’altro ieri, a dire di non aver potuto governare?

Ecco facilmente spiegati i déjà vu che stiamo vivendo in questa campagna elettorale. Ecco D’Alema, alla sua settima vita, che ci spiega ancora una volta quello che andava fatto, come se fosse appena atterrato da Marte e non fosse invece lì a tramacciare da quando si ha memoria. Ma non era lui quello delle riforme per rendere l’Italia più giusta e più moderna? Ecco Berlusconi, a quanto pare immortale, con accanto i suoi fidati lumbard, che firma contratti con gli italiani promettendo botti piene di vino e mogli sempre ubriache. Ma non era lui quello della rivoluzione liberale che avrebbe abbassato le tasse e trasformato l’Italia in una efficientissima azienda? Questo giro, poi, c’è la novità dei 5 Stelle che, non avendo mai governato a livello nazionale, si sentono liberi di promettere più di tutti, dimenticando i disastri che stanno combinando in ogni posto dove gli sono state messe le redini in mano. Possiamo davvero accettare, ancora una volta, di farci prendere in giro da ondate incrociate di mirabolanti promesse?

La cosa grave numero uno è che ad ogni giro di boa, ad ogni elezione che produce governi deboli, incapaci anche solo di provare a fare quello che hanno promesso, la legittimità delle nostre istituzioni si erode, la credibilità stessa della democrazia si consuma. Perché votare se non cambia mai niente? A cosa serve la politica se non vi è collegamento fra quello che essa predica e la realtà in cui poi ai cittadini tocca vivere? Senza rendercene conto, stiamo scavando la fossa per quello che di più prezioso abbiamo, con buona pace di quelli che di fronte ai rigurgiti fascisti sono bravi soltanto a gridare al lupo.

La cosa grave numero due è che il mondo corre e che l’Italia, nonostante i miracoli fatti dagli ultimi due governi, senza riforme capaci di ristrutturare il sistema di presa di decisioni, si rassegna a vivacchiare o meglio a moricchiare senza opporre resistenza.

Può piacere o no, ma questo paese è fermo al 5 dicembre 2016, i problemi della nostra Costituzione sono rimasti quelli. Abbiamo, unicum in Europa, due camere che fanno le stesse cose ma che vengono votate in modo diverso. Ne deriva che i governi sono in balia di maggioranze differenti e frammentate e che le leggi, per essere approvate, devono fare un doppio passaggio dal quale, se escono, escono slavate e inoffensive. Provate ad approvare una legge che tocchi le burocrazie sclerotizzate o a intaccare interessi e privilegi acquisiti o a riformare in modo ambizioso qualunque settore della nostra società..

Invece di promettere cose che non possono fare, un po’ di serietà, o anche soltanto un po’ di spirito di sopravvivenza, imporrebbe alle forze politiche di mettere al centro di questa campagna elettorale la questione di una riforma condivisa del nostro sistema politico. Invece che assistere all’ennesimo esercizio di delegittimazione e insulto reciproco, condita dalla solita fiera delle promesse irrealizzabili, sarebbe sensato che, tutte insieme, si assumessero la responsabilità di dire come stanno le cose e provassero a trovare una via d’uscita.

La prossima legislatura avrà un senso soltanto se sarà una legislatura costituente. Lo potrà essere soltanto se, innanzitutto noi cittadini, coinquilini in questo paese, saremo capaci di capovolgere fin da ora il significato svilente della parola inciucio e riusciremo a riscoprire quello nobile della parola accordo. Forse solo così i nostri rappresentati saranno messi nelle condizioni di gettare le basi di un futuro che non sia altrettanto cupo.

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